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La dimensione umana

Amore, separazione e stili affettivi nella depressione

Pubblichiamo il secondo estratto dal saggio "Stile affettivo 'depressivo' e psicopatologia depressiva: note epistemiologiche e nuove scoperte" a cura di Giovanni Cutolo - psichiatra e psicoterapeuta -, Chiara Boscaglia - psicologa e psicoterapeuta - e Anna Foschi - psicologa e psicoterapeuta, dell'Università di Siena (Psicologia Clinica).

LEGGI LA PRIMA PARTE: "Quando nasce l'amore"

di Giovanni Cutolo, Chiara Boscaglia, Anna Foschi , 26 Agosto 2013
TAG  psiche  amore  ricerca scientifica  psicologia 

amore e separazione

Amore e separazione

In questo senso l’amore diviene una “necessità” emergente nell’esperienza umana, strettamente connessa all’aumento delle capacità cognitive, e alla complessificazione emotiva, reso ancor più necessario negli umani quando il gruppo diventa molto esteso, per creare un legame di fronte alla difficoltà di relazioni intersoggettive. Vorremmo però sottolineare l’aspetto iniziale, visto nell’ottica evolutiva: l’amore, innanzi tutto, come qualità emergente che permette di reggere questa separazione dal resto della natura, questa perdita dell’innocenza di una vita senza consapevolezza, vissuta fino al momento della “caduta” nel qui ed ora di un territorio senza problemi. Da qui in poi qualsiasi separazione, a partire dalla morte di un consanguineo per arrivare alle ben più complicate separazioni affettive, diventerà fonte di sofferenza e l’affettività diventerà il modo con cui regolare questa esperienza. Amore e conoscenza da qui in poi andranno indissolubilmente legati l’uno all’altro perché continuamente l’uno ha bisogno dell’altro. Il bisogno di conoscenza nasce dal primo atto di reciprocità e di complicità fra il maschio e la femmina (l’offerta della mela che evolutivamente corrisponde alla molteplicità delle espressioni facciali che complessificano il riconoscimento reciproco) ma da questo momento in poi l’uomo e la donna potranno (e dovranno) contare sull’appoggio reciproco per gestire la complessità di questo essere strano che si pone domande su ciò che gli accade (l‘uomo), e per gestire questa nuova, strana creatura (la coppia) che nasce nell’unione di due unità singole ma ne è così diversa.

Stile di attaccamento e stile affettivo

In questo aumento di complessità sociale di un mondo in cui gli umani hanno bisogno di prevedere e programmare per garantirsi la possibilità di sopravvivenza e migliorare la qualità della loro vita, in cui per la prima volta in una specie vivente il periodo dell’allevamento si prolunga per una lunga parte della vita (neotenia), l’attaccamento diventa il sistema centrale che permette la crescita.

Pertanto l’attaccamento, se da una parte è la condizione pregiudiziale per il cucciolo umano al fine del raggiungimento delle capacità e competenze cognitive ed emotive per affrontare il mondo, dall’altra fornisce la base per la regolazione affettiva necessaria a gestire questo compito così complesso. E serve a colmare, in ogni momento, quel senso di solitudine che caratterizza l’impresa umana.

Lo stile di attaccamento delinea i tratti del significato personale ed è quindi la base su cui si articola l’atteggiamento affettivo, lo stile affettivo, ovvero la modalità adulta di stabilire legami, compreso l’amore. Lo stile affettivo, essendo una forma matura di affettività, ha come caratteristica di avere maggiori possibilità di astrazione rispetto all’attaccamento infantile e tende nelle situazioni “normali” ad arricchirsi e articolarsi nel corso della vita.

Una delle caratteristiche che tendono a differenziare lo stile affettivo, grazie alle sue possibilità di articolarsi in maniera astratta, è la capacità di considerare l’altro come “soggetto” piuttosto che come “oggetto”, come avviene più spesso nelle forme psicopatologiche. Trattare l’altro come oggetto vuol dire considerarlo passivo recettore delle azioni altrui, intercambiabile, tendenzialmente incomprensibile. Mentre il considerare l’altro come soggetto vuol dire vederlo come un personaggio attivo, autonomo, non manipolabile, irriducibile, che può essere ricostruito solo parzialmente, mediante l’immedesimazione. Lo stile affettivo è una modalità auto-referenziale di produrre pattern emotivi che si accordano con la continuità del proprio senso di sé (Guidano 1999). Pertanto se da una parte definisce una modalità di relazione con l’altro, dall’altra questa modalità relazionale deve mantenere la coerenza con il modo con cui si sente la persona.

Stile affettivo “evitante” e psicopatologia depressiva

C’è una modalità dello sviluppo umano in cui il senso di solitudine sembra acquisire una centralità ed una prevalenza legata a specifiche esperienze di vita e di attaccamento. Prenderemo in considerazione uno stile affettivo derivante da un tipo particolare di attaccamento evitante, quello in cui, per il bambino, l’accesso alla figura di attaccamento è chiaramente poco o per nulla accessibile, lo stile depressivo.

La caratteristica centrale di questo stile è la sensazione di solitudine, di separazione dal resto del gruppo, dovuta all’esperienza di perdita, di abbandono, con il conseguente senso di auto-sufficienza sperimentata fin dall’infanzia, che porta ad una posizione, nell’adulto di “evitamento” dei rapporti affettivi. Le emozioni prevalentemente attivate sono la disperazione e la rabbia, è intorno a queste due polarità che si costruisce un tema di significato personale.

L’evitamento depressivo, a differenza di quello tipo DAP che è dovuto ad un senso di improponibilità “esterno” legato al giudizio dell’altro ed al successo nella prestazione come unico rimedio, è collegato ad un senso di non proponibilità “interno”, derivante dalla considerazione di sé come strutturalmente “non idoneo” ed è pertanto poco modificabile dal contesto esterno. La distinzione fatta da Guidano tra organizzazioni inward e outward negli ultimi anni della sua vita chiarisce meglio questa differenza di stili di attaccamento (Guidano 1999, 2010, Nardi 2007).

Di qui il senso di inaiutabilità del depresso, di non potere e non dovere essere aiutato. L’inaiutabilità, entra a far parte del sistema del sé, in quanto facilita un maggior controllo degli eventi esterni: se devo fare da solo, mi devo organizzare e “facendomi il culo” ce la posso fare ... Facciamo notare che mentre in una concezione “razionalista” tradizionale l’inaiutabilità appare come un fenomeno negativo e controproducente da “correggere”, nella nostra ottica è, per la persona, fonte di stimolo alla lotta, dà la “grinta” per affrontare le difficoltà. Anche il “senso di colpa” così frequente nei depressi dovrebbe essere compreso in una lettura più ampia di questa psicopatologia, poiché nella soggettività del depresso questa attribuzione “interna” di responsabilità diventa l’occasione per recuperare, migliorare, ed è quindi funzionale alla sua esistenza.

Ma cosa succede nelle relazioni affettive? Nei casi in cui il depresso si permette una relazione affettiva, la percezione della sua possibile perdita è immediata. Una delle strategie possibili è di evitare il coinvolgimento: se non c’è attaccamento, non c’è separazione”(Guidano 2007); meno investo nella relazione e minore sarà la sofferenza, inevitabile, per la perdita che ci sarà. Ciò non significa che non ci possa essere l’avvicinamento all’altro, nella immediatezza della sua percezione, però successivamente vi è una ricostruzione cognitiva che riporta al ritiro e alla solitudine.

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