L'Eterno Ulisse

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La dimensione umana

Il "mio" caffè

Ispirata dalla rubrica di Gramellini sul Corriere, la nostra autrice Cinzia Catalfamo ha deciso di offrirci anche lei il suo "caffè" raccontantandoci un'ordinaria mattina milanese dove, a spasso per il parco Lambro, incontra storie di vita di giovani immigrate e di disoccupate.

di Cinzia Catalfamo, 27 Maggio 2019
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Abito in un quartiere residenziale, alle porte di Milano.

Dopo decenni vissuti in Africa, sono tornata qui, nel posto dove sono cresciuta e, soprattutto, vicino ai miei genitori, già anziani.

Oltre a 4 figli, ormai piuttosto grandi, ho due cani: una Golden, presa da cucciola, e una Labrador, “recuperata” dal sud Italia da pochi mesi. Hanno lo stesso colore, biondo chiaro, e la stessa età, tre anni.

Da quando la nostra “tata” è in vacanza, ormai quasi tre settimane, il “giro” mattutino con i cani, spetta a me: un’ora o più di camminate e corse tra i campi. I prati dietro casa ormai hanno l’erba troppo alta e i pollini fanno male a me ed alla Labrador, per cui da qualche giorno li evitiamo.

Stamattina decido di incamminarmi verso la parte più esterna del parco delle vicinanze, il parco Lambro, che, fin da ragazzina, frequentavo durante le lunghe corse di allenamento per l’atletica leggera. A quell’epoca il parco era quasi proibito, a causa del dilagare degli spacciatori e dei tossico-dipendenti, ma io ci andavo a correre lo stesso. Oggi è molto tranquillo, ormai come le mie corse.

Stamattina, in questo lato del parco non c’è quasi nessuno.

Le prime persone che incontro sono tre ragazze nigeriane, che per destino fanno le schiave-prostitute. Come al solito le saluto: “Ciao ragazze, come va?”, “Tutto bene” mi rispondono. Non hanno ancora clienti. Una, piuttosto piccola e cicciottella, con la minigonna, sta facendo colazione con una brioche tirata fuori da un sacchetto di plastica. Un’altra, più alta ed affusolata, mentre passo si tira giù i leggings e fa pipì vicino ad un albero.

Proseguo il cammino con i cani, che si dilettano sui prati attigui baciati, finalmente, stamattina, da un sole tiepido.

La terza ragazza mi chiede come si chiamano: “Lei è Lilla e l’altra si chiama Joy”. Allora, la giovane, ridendo, inizia a chiamarle “Lilla, Lilla, Joy, Joy”. Nel contempo si tira su la maglietta fino ai seni e si accarezza il ventre ingrossato.

“Ma hai un baby nella pancia?”, le chiedo. Lei ride: “Ma no, sono giovane”, continuo: “hai bambini in Nigeria?”, lei scrolla la testa. “Ti piace l’Italia o la Nigeria?”, domando. “Oh di certo Italia molto molto meglio, Nigeria no bene, io stare qui, Italia”, mi risponde con il sorriso. Avrà forse 18 anni, forse.

“Ok, ma stai attenta a non rimanere incinta”, mi scappa questa frase, da mamma. Lei ride ancora, e si rivolge alle “colleghe” in una lingua che non conosco.

Vado, seguita da Lilla e Joy.

Facciamo un giretto nel parco semi-deserto.

Dall’altra parte del prato vedo arrivare un cane San Bernardo ed altri tre, di razza non definita. Seguono la padrona. Come d’abitudine chiedo: “Posso lasciare i miei cani liberi?”. La donna annuisce con la testa. Si avvicina, così come i suoi quattro cani, che iniziano a giocare con le mie.

“Ciao”, la saluto. “Ma dove li tieni tutti questi cani?”, chiedo. Mi guarda, con uno sguardo vagamente assente. Noto la crescita dei capelli bianchi su uno sfondo rosso-arancio, una giacca che una volta era bianca e che ora è di un colore grigio, pantaloni vagamente rosa. “Li tengo a casa, adesso torno e ho un altro San Bernardo da portare fuori”. Poi si lascia andare: “Non ce la faccio più”. Continua: “Quando li ho presi stavo bene, avevo un bel lavoro. Da cinque anni vivo un dramma. Mi hanno licenziata, mi assentavo troppo per accudire mia madre malata di Alzheimer”. Si avvicina ancora di più, i nostri occhi si trovano. “Come ti hanno licenziata, che lavoro facevi?”. Lei: “Stavo in banca”. Mi accorgo del leggero accento romano. “Poi per la legge numero….(non me la ricordo), mi hanno mandata via. Tutte le tasse che ho pagato non sono servite ad avere una badante per mia madre, allora ho pagato tutto io. Mia madre non è mai stata facile, e con la malattia è peggiorata. Ho speso tutti i soldi e in questo paese non ti aiuta nessuno”. Ha l’aria disperata, le unghie sono rosicate e sporche. “É da cinque anni che sono in depressione, non so più che fare. Il Governo non mi aiuta, la Regione dice che non c’ha soldi. Sono povera in canna. Comunque io sono Monica, piacere”. Mi stringe la mano. “Io sono Cinzia, piacere mio”. Monica inizia ad inveire, con un accento romano sempre più accentuato, contro l’Italia, il Governo, contro ai sussidi agli immigrati. Ovviamente non le dico che, tra le altre cose, mi occupo di immigrazione.

Monica prosegue: “Siamo ormai milioni di poveri in Italia, abbiamo pagato le tasse e in cambio nulla, una vita infame”.

La osservo. “Sai qual è il mio sogno Cinzia? È quello di andare in prigione, non quella di Opera o San Vittore. Ce ne sta un’altra (non ricordo) che ci fanno le visite le scuole talmente è bella, ci sono giardini, persino cani”.

Le dico: “dai Monica, resta comunque una prigione. Almeno tu sei una persona libera, guarda adesso stiamo camminando insieme, c’è il sole, i prati, il vento, l’aria che puoi respirare.” “C’hai pure ragione ma io non ce la faccio proprio più”. Mi guarda, la guardo. “Dai vieni qui che ti abbraccio”, la invito. Lei viene, ci abbracciamo, la tengo stretta. Poi ci liberiamo, le cade una lacrima dall’occhio destro. “Sei gentile, grazie. Sai mi piacerebbe tanto occuparmi dei cani abbandonati, avere un centro di accoglienza. Mi piacciono tanto i cani, gli animali”. “Sì”, le dico, “ho un’altra amica, anche lei con tanti problemi, a cui piacerebbe fare la stessa cosa, magari vi faccio conoscere, chissà”. Monica sorride, finalmente. Poi continuo: “Monica però fammi la cortesia. Vai un pò dal parrucchiere, fatti un bel colore, truccati, metti bei vestiti, abbiamo la stessa età e sei una bella donna, la vita ti può ancora sorridere, credici”.

Lei si ferma e mi risponde : “Ma vah…”, “Ma sì, sì invece, te lo dico davvero, non sto mica scherzando”, le rivolgo le mie parole col sorriso e lei sorride ancora.

“Dai, la prossima volta ti voglio vedere così, bella come sei tu, non pensare tanto, non arrabbiarti con il governo, tanto non serve a nulla, ormai pensa a te. Tua mamma vabbé, ma tu ora sei quella che conta per te, forza!”.

I nostro occhi si incontrano ancora. Un’ultima parola: “Grazie Cinzia”. “Grazie a te, Monica. Ora vado, alla prossima”.

Cerco i miei cani, che nel frattempo si erano avvicinati alla brioche della ragazza nigeriana, e mi incammino verso casa.

Ecco, questo è stato il “mio” caffé stamattina.

Abitare In Salute
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