L'Eterno Ulisse

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La dimensione umana

"Di morte non si muore": il racconto di un'esperienza ai confini della vita

Il direttore della nostra rivista, Maria Pia Fiorentino, ha vissuto lo scorso anno un'esperienza al confine tra la vita e la morte, e condivide ora con noi, in questo articolo, ciò che ha vissuto.

di Maria Pia Fiorentino, 21 Gennaio 2021
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Salvador Dalì, Self Portrait Abstract

“Di morte non si muore”: questo era lo strillo che imperversava in copertina nel numero 22 de L’Eterno Ulisse … e su questo tema ci si era a lungo soffermati. Abbiamo infatti dedicato una serie di contributi al mistero dei misteri, e alla fonte dell’evoluzione umana: la Morte e le sue sfaccettature evidenziate anche da un simbolismo che mette in luce ciò che senza una adeguata preparazione può sfuggire perfino ad un essere umano colto e spiritualmente maturo. Sul piano cabalistico la morte è la tredicesima Lama, l’innominata, colei che esce dalla legge del 12, e cioè dal determinismo, dall’influenza degli astri, dalla prigionia di un ciclo già scandito.

Il significato di questo simbolo era ben chiaro dentro di me, quando, il 15 dicembre del 2019, mentre mi apprestavo a liberarmi, secondo i dettami del feng shui, di alcuni piccoli oggetti che avevo scelto di bruciare sul mio terrazzo, accorgendomi che questi stentavano a prendere fuoco cercai di incrementare il piccolo falò dal significato rituale. In un attimo il fuoco mi investì, bruciando all’altezza del collo il dolcevita che indossavo. Ad una velocità impensata mi sfilai il maglione ustionandomi le mani e parte del collo e del viso; ed è così che mentre vedevo in fiamme anche i miei capelli pensai di essere giunta all’ultimo atto della mia esistenza. Fui subito soccorsa e mi ritrovai in una stanza dell’Ospedale più vicino a casa. Uno stanzone mi ospitò quella notte in un letto, il n.12, e al mio fianco una signora, al n. 13, che sembrava aver chiuso i conti con la vita. Fu una notte pazzesca, che non dimenticherò mai. Mi parve di trovarmi nell’anticamera dell’inferno. I miei leciti lamenti di dolore si confondevano con le urla di chi sapeva esprimere con forza il proprio incubo … E poi, pianti, gemiti e piagnucolii facevano da sfondo a richieste di aiuto e a disperazione. Ricordo con stupore il canto di una signora, romana nell’anima che, per sollevare l’umore della camerata intonava in piena notte, di tanto in tanto, una canzone: “quanto sei bella Roma”…, e poi ancora ritornelli di repertorio.

In tutto quel trambusto, per assurdo, trovai meravigliosa quella donna che per deformazione avrei voluto intervistare… Il giorno dopo fui trasportata nel reparto grandi ustioni dell’Ospedale Sant’Eugenio: un’eccellenza del sistema sanitario regionale a detta di tutti per i casi come il mio … Per una serie di coincidenze fortunate fui trasferita lì perché si liberò inaspettatamente un letto. L’impatto con questo nuovo ospedale sancì inizialmente un ennesimo trauma. Quando fui accolta nel reparto ustionati, la barella sulla quale mi trovavo fu affidata a quello che mi sembrò un energumeno che diede ordine a due addetti di farmi sdraiare dentro una specie di canotto e, dopo avermi guardato e aver sentenziato che il giorno dopo sarei gonfiata come una mongolfiera, afferrò un paio di forbici e mi tagliò la camicia che indossavo e poi i capelli completamente a zero. Io ero shoccata e dolorante, nonché atterrita da questa scena che nella modalità mi ricordava il taglio dei capelli inflitto a Giovanna D’Arco prima del rogo … Fui lavata, medicata, fasciata e trasportata in una camera a due letti, il mio era il letto n. 13 … Il numero ricorreva e mi rammentava, appunto, che … “di morte non si muore”. E qui prese corpo, via via, una maggiore consapevolezza delirante del mio incubo. Urla mute e silenti si alternavano nella mia mente che si aggrappava al valore imprescindibile di una dignità, la mia, che andava salvaguardata a tutti i costi. I miei occhi sbarrati osservavano il susseguirsi delle scene che mi si proponevano in una sequenza del tutto imprevedibile.


Salvador Dalì, L'Aurora (1948)

Gente intorno al mio letto si accostava, mi guardava e andava via. Nessuna domanda, solo un assordante, innaturale silenzio parlava di me, seguito da un parlottare che fuori da quella stanza forse mi riguardava. Mi parve di capire con chiarezza, a un tratto, che verosimilmente io, in quell’incidente, ero morta. Tutto quel che avevo visto era stato probabilmente messo a fuoco dagli occhi dell’anima. Sì, questa tesi era più che plausibile, e le informazioni che coglievo me lo confermavano. Nessun parente era ammesso in quel reparto. L’unico contatto con l’esterno si sarebbe verificato, quotidianamente, dalle 16,30 alle 17,30 tramite una grande vetrata che avrebbe consentito ai parenti di guardare i ricoverati e viceversa, e di comunicare tramite un citofono, un cellulare o a gesti. Sì, tutto era chiaro. Ero passata dall’inferno del giorno prima, ad una sorta di purgatorio e, forse, in questo girone avrei preso coscienza dell’esperienza che ora mi attendeva. Gli ingredienti c’erano tutti.

La camera era più che dignitosa, e dopo un tempo che non saprei definire, quando tutti uscirono dalla stanza che mi ospitava, Francesca, la mia compagna del letto n. 14, mi rivolse la parola presentandosi e fungendo, da lì in poi, da preziosa guida della mia allucinante esperienza. Nei giorni che seguirono, il mio delirio si alternò a momenti di lucida consapevolezza. Gli infermieri e le infermiere mi sembrarono spesso veri Angeli deputati ad alleviare le mie pene e le mie angosce e a sopperire alla mia difficoltà ad utilizzare i 5 sensi. E poi il cellulare, munito di penna touch che - malgrado il gonfiore delle mie mani e le fasciature, e nonostante l’impossibilità di utilizzare auricolari per le bende al volto che mi coprivano anche le orecchie, e senza tener conto della grande difficoltà a leggere i messaggi per la vista annebbiata per via delle creme - diventò il meraviglioso strumento di contatto con gli affetti più cari, e mi permise di toccare quasi tangibilmente l’amore che mi circondava.

Oltre a mio marito, mio figlio, ai miei fratelli, alla famiglia tutta e agli amici, ebbi segni di condivisione profonda anche da alcuni lettori de L’Eterno Ulisse, e seppi di essere stata messa al centro di gruppi di preghiera, gruppi di meditazione, pratiche buddhiste e di Tonglen … e metodi di guarigione a distanza. Mi sentii davvero molto amata e molto fortunata. Centinaia di messaggi mi raggiunsero per esprimere rammarico, affetto e vicinanza, e tante parole riempirono le mie notti quasi insonni che tendevano a radicare in me la certezza di essere morta. Il dubbio era sempre latente … ma poi il dolore delle medicazioni quotidiane e la sofferenza costante mi facevano comprendere con forza che forse, invece, ero assolutamente viva e al centro di una esperienza inconcepibile e paradossale.


Farfalle eterne: Josephine Wall e il richiamo alla Natura

Rimasi in Ospedale fino al 23 gennaio, dopo aver subito un intervento chirurgico che ha richiesto degli innesti di pelle. Notti da incubo e bruciori mi ricordavano, ancora e ancora, che “di morte non si muore”… Ma il dubbio era forte, devo ammetterlo, anche perché dal giorno del mio incidente domestico, così è stato definito, non ho più avuto il coraggio di guardarmi allo specchio. Ho visto via via il mio corpo gonfiare come una mongolfiera, così come mi era stato predetto, ne ho viste, ma soprattutto “sentite” le piaghe e le cicatrici, ma mai allo specchio … dove il timore di perdere l’identità si insinuava nella mia mente come un ambiguo serpente. Poi, lentamente sgonfiai, e anche le mie cicatrici si ridimensionarono.

Il mio ritorno a casa è un’altra storia… sulla quale non vi intrattengo; quel che mi preme ancora raccontarvi è che a un tratto, quando nel “pandemonio” della mia vita si palesò la “pandemia” che investì il mondo intero …, in una delle mie notti insonni e deliranti mi chiesi più volte se il coronavirus non fosse una mia “creatura” in linea con la mia lunga astrazione dal mondo e dalla vita: una costruzione di un mio personalissimo incubo denominato covid 19 capace di creare uno scenario apocalittico.

Certo, so che può farvi sorridere questa ipotesi bizzarra, tuttavia è accaduto davvero: “di morte non si muore”, ne sono più che mai certa, ma il travaglio che questa esperienza nel mio caso ha comportato è stato costellato dalle mille facce degli incubi notturni che hanno afferrato per lungo tempo la mia anima. Eppure, eccomi ancora qua … Anzi, eccoci oggi di nuovo qui, con L’Eterno Ulisse in procinto di uscire ed una direttrice responsabile - la sottoscritta - molto provata e ancora alla ricerca della sua identità; un vero “eterno Ulisse” che spera di tornare presto a Itaca.

Grata a tutti i collaboratori per avermi così tanto sostenuta, e per aver impedito che il nostro trimestrale si fermasse per sempre, vi annuncio che questo Speciale copre due numeri ed è un mix di attualità, cultura delle curiosità, un po’ de “il meglio di”, e infine riporta gli indici completi dei 22 numeri usciti fin qui.

Nel concludere, infine, desidero agganciarmi a quanto ho scritto tanti anni fa a proposito della Sars che allora imperversava, in un editoriale della rivista Natura E Benessere (2003) che dirigevo al tempo: «(…) questo pestifero virus, con le sue camaleontiche trasformazioni, inquieta e fa riflettere.

Che fare per arginarlo e per difendersi dalla sua dilagante corsa? Mentre la scienza si impegna e si “ingegna”, forse una soluzione c’è … ma sembra riservata esclusivamente ai credenti …, una sorta di èlite che, grazie al dono della “fede”, pare sia in grado di tutelarsi appellandosi con forza alle promesse del Salmo 91(90), “Sotto le ali divine”, il quale, trasudando certezza, inizia col recitare:

“Tu che abiti al riparo dell'Altissimo/e dimori all'ombra dell'Onnipotente,/2 di' al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,/mio Dio, in cui confido»./3 Egli ti libererà dal laccio del cacciatore,/dalla peste che distrugge./4 Ti coprirà con le sue penne/sotto le sue ali troverai rifugio./5 La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza;/non temerai i terrori della notte/né la freccia che vola di giorno,/6 la peste che vaga nelle tenebre,/lo sterminio che devasta a mezzogiorno./7 Mille cadranno al tuo fianco/e diecimila alla tua destra;/ma nulla ti potrà colpire./(…)” ».

E … se fosse vero?

Abitare In Salute
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