Tattersall (2004), che ha messo in evidenza lo stagliarsi nel tempo del “sapiens” rispetto agli altri ominidi come il “Neanderthal”, dice che “noi facciamo parte della natura, ma pur essendo il risultato degli stessi processi naturali che hanno generato tutte le altre miriadi di forme di vita del mondo, ci sentiamo diversi dagli altri organismi”.
Gli autori della “Genesi”, la parte iniziale della Bibbia, sono stati degli attenti scrittori evoluzionisti, in quanto hanno saputo cogliere bene questo momento di passaggio evolutivo che caratterizza l’homo sapiens: il momento della sua separazione dal resto della natura e degli altri viventi, collegato all’aumento delle capacità cognitive (la mela della conoscenza) e all’emergenza delle emozioni.
Come osservato anche da Eldrege (1995), questo passaggio corrisponde alla fase in cui da cacciatori-raccoglitori i sapiens diventano agricoltori, ovvero alla fase in cui la dipendenza dalla natura si modifica con la possibilità, attraverso la previsione e la programmazione, di un controllo su di essa da parte dell’uomo. Con la fine del periodo “cacciatori-raccoglitori” si ha una rottura dell’ “armonia cosmica”. C’è una evoluzione della conoscenza esplicita che porta all’individuazione per controllare il mondo distaccato dalla persona. L’individuazione porta anche all’evoluzione dell’amore: questo serve per sostenere l’esperienza dell’uomo di essere parte a sé stante dal resto del mondo (Guidano 1999).
Abele è il primo allevatore di bestiame, mentre Caino è il primo agricoltore. “Nella Genesi, 1, 27 troviamo il resoconto della visione che i primi agricoltori avevano di sé in relazione al mondo naturale. ‘Dio disse…prolificate, moltiplicatevi e riempite il mondo, assoggettatelo e dominate…su tutti gli animali che si muovono sopra la Terra’… Eldrege ritiene che questa sia la più grande dichiarazione di indipendenza mai pronunciata dall’umanità. L’indipendenza alla quale si riferisce è, ovviamente, quella dal resto della natura” (Tattersall 2004.). Ma l’indipendenza comporta anche una separazione, ed è la prima separazione “tacita” dalla natura, che corrisponde alla graduale individuazione e specializzazione del “sapiens” a partire da 30.000 anni fa. Nella cultura cristiana e occidentale, questa separazione è resa più netta dalla “prescrizione” del dominio sulla natura, e nella Bibbia già viene descritta come una sconvolgente rottura con l’unità cosmica.[1]
Ma c’è un momento in cui questa separazione diventerà “esplicita”, con tutte le conseguenze emotive. La mela della conoscenza mangiata da Adamo ed Eva malgrado e contro la proibizione di Dio, può essere una buona metafora della drammaticità con cui si compie e si approfondisce questo distacco del sapiens dal resto degli ominidi e dal mondo della natura (Madison 1988). È il periodo in cui l’ampliamento dei gruppi umani in termini numerici porta ad un progressivo aumento della complessità ed articolazione della identità intersoggettiva: le capacità cognitive si accrescono in maniera netta rispetto agli altri esseri viventi (Guidano 1999). L’aumento delle capacità cognitive, derivante dalla capacità di articolazione dei suoni, col passaggio dal grooming tattile al grooming vocale, e alla successiva emergenza del linguaggio (Mithen et. al. 2011, Mithen 1996) è la premessa da cui emergerà il mentalismo, ovvero la possibilità di comprendere le intenzioni degli altri, della capacità di finzione e quindi della possibilità di riflettere su di sé e sugli altri.
Il primo effetto di questo cambiamento evolutivo è segnato dalla comparsa di emozioni prodotte dalla consapevolezza di sé, ad esempio quella della vergogna che nasce dalla vista della propria e altrui nudità (“Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture..” Genesi 3,7). In questa fase primordiale la progressiva diminuzione dell’immediatezza dell’esperienza si accompagna alla preminenza della relazione “faccia a faccia”, da cui la paura del ridicolo di fronte agli altri e il desiderio di essere approvati, all’adozione della norma del gruppo, ecc. In questo aumento della visibilità personale, in una terra che non è più un paradiso, emergeranno la gelosia per il fratello, la rabbia e la delusione per non essere stati considerati ed apprezzati, la colpa per aver trasgredito e ucciso, e tutta la gamma delle altre emozioni (Guidano 1999).
L’emergere della consapevolezza di sé come conseguenza dell’aumento delle capacità cognitive ed emotive (mentalismo) mette in luce, insieme alle altre, anche un’emozione profonda, continua e non eliminabile, che pervaderà da allora in poi il genere umano: la solitudine. La coscienza della unicità umana porta al senso di finitudine e di solitudine, dovuta a questa separazione dell’uomo dalla natura addirittura imponendoci, come dice la dottrina cristiana espressa nella Bibbia, di dominarla. Ma questa separazione è accompagnata indissolubilmente e per la prima volta, dalla consapevolezza di essere soli… Potremmo anche dire che è l’effetto che fa al sé la consapevolezza di sé, a produrre reazioni emotive nuove, a produrre anche un più generale “senso di sé” che darà all’essere umano, in ogni istante, il senso di chi è lui a partire da questa separatezza cosmica. Da qui deriva allora la necessità di colmare questo senso di solitudine.
"C’è una evoluzione della conoscenza esplicita che porta all’individuazione per controllare il mondo distaccato da me. L’individuazione porta anche all’evoluzione dell’amore: questo serve per sostenere l’esperienza dell’uomo di essere parte a sé stante dal resto del mondo" (Guidano 1999).
Da una parte questa esigenza “esplicita” di colmare la solitudine, in senso più astratto-simbolico, produce l’esperienza mistica e religiosa, dall’altra essa segna la nascita della vita emotiva come necessità di sintonizzazione con l’Altro (Zambrano 1987). Così, fin dall’inizio, l’umanità nasce in una relazione a due, causa e rimedio della sua solitudine. Nasce il bisogno di una vicinanza affettiva che non solo garantisca la protezione ed il supporto per l’addestramento alla vita, ma fornisca anche quel senso di “comunione” che permetta di sostenere il peso della sensazione cosmica di solitudine.
Guidano parla della nascita dell’amore come “il dominio emozionale dove abitano gli animali intersoggettivi come l’uomo, così come la conoscenza è il dominio cognitivo umano; allora in quello spazio la dimensione emozionalità è una dimensione che accade in un continuo che è un continuo avvicinamento-allontanamento, un continuo attaccarsi e separarsi” (Guidano-Ruiz,1999).
In questa dinamica tra belonging to e demarking from, tra appartenenza e demarcazione dall’altro, tra identificazione e individuazione, Guidano fonda la natura intersoggettiva dell’esperienza umana. "Noi abbiamo bisogno di comunione per realizzare il nostro sé a causa del genere di animali che siamo. L’amore è la disposizione ad accettare l’Altro come un altro legittimo che ci riconosca e ci legittimi nella coesistenza reciproca: questo ci permette di avere un’esperienza immediata di 'unitarietà' e 'totalità'…L’amore serve per sostenere l’esperienza dell’uomo di essere parte a sé stante dal resto del mondo. L’unicità dell’essere umano è legata indissolubilmente alla sua solitudine" (Guidano 1999).
Sottolineiamo questo aspetto della “legittimazione” reciproca perché l’esigenza di legittimazione appartiene al rapporto tra il mondo soggettivo e il mondo oggettivo del contesto sociale: la legittimazione reciproca costituisce un ponte tra il significato personale “soggettivo” e il suo riconoscimento possibile in un contesto “intersoggettivo”.
Continua...
NOTE
1. Questa prescrizione di dominio non è presente nella cosmogonia di altre culture e religioni e può essere interessante osservare come in queste culture la psicopatologia legata a perdite e separazioni possa esprimersi in maniere differenti.