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Echi di Riti e Miti

La magia del solstizio d’estate

Sacro e profano si fondono nella celebrazione del passaggio all'estate, periodo da sempre al centro di rituali 'magici' e tradizioni popolari che tengono insieme luci ed ombre.

di Daniela Quieti, 19 Giugno 2013
TAG  solstizio  estate  riti  tradizioni 

iperico
Fiore d'iperico (Hypericum perforatum), una delle erbe del solstizio d'estate, chiamata anche 'Erba di San Giovanni' o 'scacciadiavoli'

Ventuno giugno: inizia il periodo che va dal solstizio d’estate alla festa di San Giovanni, celebrato dovunque con feste che si ispirano a tradizioni antichissime, in una suggestiva fusione di sacro e pagano. Nella mia mente si affollano antichi ricordi, seduzioni.

Il sole è allo zenit, nel tropico del cancro, nella massima altezza del cielo e sosterà fino al ventiquattro nello stesso punto rispetto all’orizzonte. Per questo il fenomeno, conosciuto già nell’antichità, è chiamato solstizio.

So che era considerato un intervallo magico, da rispettare timorosamente con cerimonie propiziatorie talmente radicate nelle credenze popolari da sopravvivere ancora oggi con diverse connotazioni locali.

Si riteneva che il “fuoco sacro” entrasse nella costellazione della luna dopo un rito nuziale tra questi astri che generava due opposte polarità: la luce più lunga dell’anno, l’oscurità più breve.

La mia fantasia si anima. Secondo la leggenda, questa era la convergenza prodigiosa amata dalle streghe e dai demoni per darsi convegno e diffondere sortilegi, citata anche da Shakespeare nel Sogno di una notte di mezza estate. Famoso è lo straordinario “heel-stone”, il monolito di Stonehenge posto in modo da vedere il sole all’orizzonte nel solstizio d’estate, che dagli antichi greci era chiamato la “porta degli uomini”.

I riti che celebravano questo particolare momento culminavano nella notte di San Giovanni considerata la più densa di influssi magici, da cui il detto che “San Giovanni non vuole inganni”.

Credenze – certo – ma che conservano tutto il fascino del mistero di quando la scienza non aveva ancora spiegato tante cose e, per proteggersi dalle streghe, occorreva tenere in casa il rosmarino, un ramo di felce e l’aglio, già “uccisore di mostri” in sanscrito, infallibile contro i vampiri e indicato anche da Plinio come utile rimedio contro diverse indisposizioni.

Si riteneva che in questo periodo tutte le piante fossero influenzate da una straordinaria capacità divinatoria, soprattutto per le pene d’amore, e si usava raccogliere erbe e metterle in una conca piena d’acqua, lasciandole all’aperto tutta la notte, per ricevere la benedizione di San Giovanni. Così diventavano capaci di tramutare i sogni in realtà.

Non credo più come quando ero bambina, nemmeno a un’altra usanza diffusa, quella che, per difendersi dalle stregonerie, bisognava nascondere sotto il cuscino lo “scacciadiavoli”, un amuleto consistente in un mazzetto composto di iperico, erica, lavanda, ginestra, felce, verbena, ribes, artemisia e cardo. Il fuoco era poi considerato capace di allontanare gli spiriti maligni e in molti luoghi si accendono ancora falò, soprattutto la vigilia del ventiquattro, con la tradizione di saltare sulla fiamma esprimendo intensamente un desiderio. Quanto più ampio sarà il salto, tanto più esso si realizzerà. Vengono mangiate ancora le “lumache di San Giovanni” contro il tradimento, raccolte solo da mani femminili, e filtrate le noci acerbe per distillare un liquore detto “nocino” che donerebbe vigore. Infatti, secondo la leggenda, l’incontro fra le streghe avveniva intorno a un albero di noce di Benevento al coro di: “Unguento unguento… supra acqua et supra vento et supra omne maltempo”. Ci si affida inoltre alla capacità protettiva della salvia.

Si narra che Maria, durante la fuga in Egitto, chiese a una rosa protezione dagli inseguitori ma essa la rifiutò e fu punita a morire presto con spine. Così la vite che fu condannata a essere vendemmiata ogni anno. Ugualmente il cardo. Solo la salvia accettò di soccorrere Gesù. La pianta fu benedetta e divenne un sicuro rimedio.

È usanza ancora, in qualche località, predire il futuro nella forma assunta dall’albume di un uovo versato in un bicchiere d’acqua e lasciato esposto al chiaro di luna.

In Abruzzo e non solo, all’alba del ventiquattro giugno le fanciulle guardavano l’oriente. Colei che riconosceva nel sole la testa recisa di San Giovanni trovava l’amore entro l’anno.

San Giovanni fu fatto decapitare da Erode perché condannato dal Santo per la relazione con la cognata Erodiade. Questa e sua figlia Salomè ne pretesero la testa su un piatto d’argento. Si riteneva che il sole, all’alba della festa, rimbalzasse tre volte come la testa decapitata di San Giovanni.

Anche Gabriele D’Annunzio cita questo mito arcaico nella tragedia pastorale abruzzese “La figlia di Iorio”: “E domani è San Giovanni, fratel caro, è San Giovanni. Su la Plaia me ne vo’ gire, per vedere il capo mozzo dentro il sole, all’apparire, per veder nel piatto d’oro tutto il sangue ribollire”.

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31 Maggio 2016 07:02, arianna ha scritto:
molto bello grazie per averlo pubblicato

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