“Settembre, andiamo. È tempo di migrare”: comincia così, con quello che viene considerato uno dei versi più belli della letteratura italiana, la celebre poesia di Gabriele D’Annunzio “I Pastori” dedicata alla transumanza.
All’inizio della stagione fredda, le greggi dell’Abruzzo – ma la tradizione è propria anche di altre regioni meridionali ed estere – venivano trasferite verso la pianura pugliese, dove trovavano pascoli verdi e temperature più miti.
Poi, all’inizio della stagione calda, il ritorno verso zone fresche di montagna.
La strada era quella detta “tratturo”, un’autostrada d’erba lungo la quale si effettuavano solo brevi soste in luoghi prestabiliti detti “stazioni di posta” o, meglio, “riposi”, strategicamente situati in zone ombreggiate e ricche d’acqua.
In montagna, i pastori si riparavano nei “tholos”, caratteristici ricoveri circolari in pietra a secco, prevalentemente della Majella, che risalgono a tempi lontanissimi e sono la testimonianza di quanto antica sia l’origine della transumanza, forse, addirittura, risalente all’età del bronzo.
Le greggi, composte, a volte, anche da migliaia di capi, rimanevano sui monti abruzzesi per circa cinque mesi nella bella stagione e poi, con un tragitto che durava circa tre settimane, percorrevano, approssimativamente, duecentocinquanta chilometri per giungere al tavoliere pugliese dove si trattenevano per gli altri sette mesi.
Gli unici “compagni di viaggio” dei pastori con cui scambiare un qualche sentimento erano i fedelissimi cani a guardia del gregge, talmente bravi e capaci da saperlo tenere compatto, da recuperare le pecore sbandate, da evitare che alcune di loro si perdessero.
Era caratteristico il comportamento di alcuni cani, specie quelli più piccoli che, talora, per passare da una parte all’altra del gregge, non sceglievano di aggirarlo, ma, addirittura, lo attraversavano saltando sulla groppa delle pecore.
Ai giorni nostri, l’antica usanza è praticamente scomparsa e i tratturi, le colline, i vetusti borghi sono diventati più che altro un’attrazione turistica.
Quanta filosofia popolare, quanta poesia in questa vita pastorale.
Il Vate verga le ultime parole della sua struggente nostalgia: “Ah perché non son io co’ miei pastori?”.
5 Settembre 2014 14:11, tino fortunato di sipio ha scritto:
molto bello e contenente interessanti aspetti sulla transumanza. grazie Daniela