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Echi di Riti e Miti

Le virtù del primo maggio, se la cucina diventa un rito

Le virtù, un piatto tipico del teramano e dell'Abruzzo, ci ricorda una società basata sul risparmio e sul riuso, dove la povertà veniva arricchita con creatività e gusto. Almeno sette tipi di verdure cucinate insieme ad avanzi di pasta e carne in coincidenza del passaggio alla primavera. Un esempio di come la cucina non è soltanto mera esecuzione ma si appresta, nel corso dei secoli, ad assorbire specifici significati antropologici per intere comunità.

di Daniela Quieti, 1 Maggio 2012
TAG  cucina  ricette  tradizioni  abruzzo 

Virtù
Questo piatto ci parla della società che insegnava il valore del risparmio, del riuso, quando si doveva fare 'di necessità virtù'

C’è un piatto simbolo della gastronomia teramana, in Abruzzo, che si chiama “Le Virtù”. Viene preparato il primo maggio e in esso convergono antiche consuetudini, quelle che modulavano l’esistenza contadina fin dal tempo dei Romani.

“Le Virtù” rammentano, in questa quotidianità consumistica e distratta, la società che insegnava il valore del risparmio, del riuso, quando si doveva fare di necessità virtù.

Una volta, infatti, non c’erano frigoriferi, non si gettava via niente e le donne erano sapienti protagoniste in cucina. Nel momento di passaggio delle stagioni, era usanza preparare un cibo gustoso abbinando gli avanzi dell’inverno – come legumi secchi, residui di pasta di varie tipologie, pezzetti essiccati di maiale – alle primizie dell´orto. “Le virtù” sono una pietanza umile che, pur se tipica della provincia di Teramo, è diffusa con varianti, ormai, un po’ in tutto l´Abruzzo, e non solo. L’antico rito si rinnova ogni anno il primo giorno di maggio nella sua attualità e nel sapore originale derivante dalla miscela dei diversi ingredienti, la cui preparazione richiede tempi lunghissimi perché cotti quasi tutti separatamente, prima di essere mescolati in modo tale che il gusto di nessun componente emerga in modo particolare.

Il profilo antropologico e culturale di questa ricetta la rende un’eccellenza del territorio. Essa ripropone echi di una tradizione che appartiene a tutti. In una realtà che frantuma velocemente esperienze e attese, la saggezza di una civiltà di tempi lenti tramanda alle giovani generazioni costumi che sono anche memoria collettiva.

L’intera comunità cucinava le “Virtù” in abbondanza per offrirle anche ad amici e indigenti, in un reciproco scambio che rinsaldava – e in qualche caso rompeva – vincoli di fratellanza.

“Le Virtù” sono, per l’occhio e per il palato, un grande festa di tanti elementi “poveri” arricchiti da personale creatività. Secondo la tradizione, questa vivanda non può essere preparata con meno di sette tipi di verdure, legumi, aromi, pasta, e di sette ore di cottura, forse per un legame mistico con i sette doni dello Spirito Santo: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio. Definirle solo cibo è riduttivo. Esse hanno di certo sempre significato la fecondità dei nuovi raccolti dopo un ciclo agrario improduttivo.

Anche se gli scaffali delle odierne cucine non sono più paragonabili, in quanto a contenuti, alle vecchie dispense, resta, comunque, vivo, il fascino beneaugurante di una prodiga nuova stagione. Per chi volesse cimentarsi, segue un’indicativa ricetta della nonna, da eseguire con personali interpretazioni: gli ingredienti base sono tutti i tipi di legumi, di verdure, di pasta, di aromi, e di carne di maiale. Quest’ultima va sgrassata, bollita a lungo, scolata e rimessa in cottura ben sminuzzata per una mezz’ora circa. Si aggiungono poi le verdure ben tritate e, in seguito, i legumi già messi in ammollo per tutta la notte.

Si aggiunge, a piacere, della passata di pomodoro, olio, sale, pepe, lasciando cuocere il tutto a lungo e aggiungendo acqua calda se necessario. La preparazione richiede tempo perché i componenti devono ridursi quasi in poltiglia, amalgamandosi perfettamente fra loro. A questo punto, si cuoce in pentola, separatamente secondo i vari tipi, la pasta, che verrà aggiunta e mescolata fino a quando anch'essa non si amalgamerà col tutto.

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