L'Eterno Ulisse

Itinerari insoliti nel grande mare della conoscenza

RSS FaceBook

Percorsi di Guarigione

La sacra gestualità delle Mudra, un ponte con il divino

Le mudra, gesti sacri delle mani e del corpo che contraddistinguono il percorso dello yoga, mirano a riconnettere l’energia pranica individuale con quella cosmica, creando un ponte tra umano e divino.

di Chiara D'Ottavi, 28 Novembre 2012
TAG  yoga  mudra  gesti  sacro 

mudra
"Ricche di significati simbolici, colmi di grazia e bellezza, le mudra contraddistinguono il percorso degli yogi e di alcune scuole del buddismo"

Sacri gesti delle mani e del corpo, nobili atteggiamenti ricchi di significati simbolici, colmi di grazia e bellezza. Le mudra contraddistinguono il percorso degli yogi e di alcune scuole del buddismo. Completando le asana (posture)[1] e il pranayama (scienza del respiro)[2], sono utilizzate altresì nelle pratiche di concentrazione e di meditazione, sia buddiste – in particolare tibetane – che yogiche. Inoltre, caratterizzano la complessa ritualità religiosa orientale, mentre aggiungono raffinatezza e intensità alle varie forme di danza indiana.

Il termine sanscrito “mudra” (मुद्रा) è traducibile con “sigillo”, “gesto” o “atteggiamento”; ed è interessante notare che, sillabando, “mud” sta per “gioia”, mentre “ra” è “suscitare”. Le mudra presentano molteplici applicazioni e benefici, suggellando l’integrità e la completezza dello stato meditativo e spirituale, uno stato di gioia e di grazia. Esse mirano a riconnettere l’energia pranica individuale con quella cosmica, creando così un circuito energetico e vibrazionale che è espressione della potenzialità e delle qualità divine, nonché degli elementi della natura insiti nell’essere umano.

I mudra influiscono in maniera profonda sullo stato d’animo, sulle facoltà percettive, sull’approccio del praticante, affinando le qualità connesse alla fisiologia sottile yogica, quali l’intelletto superiore e l’intuizione[3] . Essi rientrano generalmente nelle pratiche intermedie e avanzate e portano al risveglio del prana, dei chakra, della kundalini, aprendo così il cammino ai cosiddetti siddhi, ovvero i poteri psichici[4].

“La dea dormiente all’ingresso della porta di Brahma dovrebbe essere costantemente svegliata con ogni sforzo, praticando a fondo i mudra”, è scritto nell’Hatha Yoga Pradipika, che ne enumera dieci, i quali arriverebbero a “distruggere la vecchiaia e la morte”. Mentre la Gheranda Samhita ne elenca venticinque, grazie a quali “gli yogi raggiungono il successo in questo mondo”. Alcuni mudra, tra cui diverse posizioni delle mani, sono alla portata di tutti i praticanti sinceri e volenterosi, altri sono di maggiore complessità. In tutti i casi è meglio apprenderli guidati da un insegnante esperto e qualificato. Riteniamo inoltre sia opportuno accostarvisi con devozione e sensibilità, consapevoli della loro sacralità: “Rivelati da Shiva celeste, conferenti gli otto poteri, cari al cuore di tutti gli uomini di potenza, sono difficili da eseguire anche per i saggi” è scritto, ancora, nell’ Hatha Yoga Pradipika.

mudra
"Particolarmente universale è il Chin mudra (il gesto psichico della coscienza), in cui il pollice e l’indice sono a contatto, secondo diverse varianti"

Poiché l’assunzione dei mudra stabilisce un collegamento forte tra il corpo fisico, il corpo energetico e quello mentale – conferendo una maggiore consapevolezza del flusso pranico, trait-d’union tra corpo e mente – l’energia vitale viene convogliata sempre più verso la parte alta del corpo e, quindi, verso i chakra superiori. Il legame tra il pranayama e i mudra è evidente e, a nostro avviso, contraddistingue la vera e propria sadhana[5], rispetto alle pratiche propeudeutiche. Il significato “circuito”, altresì insito nel termine, implica la canalizzazione del prana all’interno del corpo e in determinati “nodi” vitali, al fine di contrastare la dispersione dell’energia all’esterno. Grazie alle mudra è possibile utilizzare l’energia vitale per il mantenimento e il ripristino della salute psicofisica, come per il raggiungimento di stati di coscienza elevati, e ciò comporta spesso, con il tempo, un andare oltre i modelli comportamentali istintivi e abituali.

Poiché le diverse tradizioni di riferimento presentano delle varianti, passeremo qui in rassegna alcuni mudra comuni alle diverse scuole, dividendoli in sottogruppi tipologici.

Gli Hasta sono i mudra delle mani. Da sempre la gestualità accompagna la vita quotidiana dell’essere umano e il suo relazionarsi all’esterno. Se la gestualità rispecchia il nostro stato d’animo, di converso, attraverso le mudra possiamo influenzare e disciplinare la nostra condizione generale. Le estremità del corpo sono il nostro primo contatto con il mondo esterno e attraverso le mani – importantissima parte del nostro corpo, in grado di compiere centinaia di movimenti diversificati – non solo assorbiamo e riceviamo il prana, ma doniamo forza, energia e amore. Tramite le mani possiamo dunque donare e ricevere o, meglio ancora, condividere. Nella danza indiana, nelle sinuose sculture indiane o nei maestosi budda tibetani, le mani impegnate nei mudra più vari rivestono un fondamentale ruolo espressivo, estetico, religioso.

Abbinati a tecniche di pranayama e meditative, nonché nei complessi rituali del buddhismo, gli Hasta coinvolgono le dita attraverso diverse possibilità di combinazione, sortendo effetti a seconda delle parti interessate. Le dita sono infatti collegate alla corteccia cerebrale, e attraverso le mudra poniamo in collegamento profondo le mani con il cervello. Inoltre, vi sono valenze simboliche specifiche: se l’indice rappresenta la coscienza individuale, il pollice corrisponde alla coscienza universale. Mentre il mignolo, il medio e l’anulare corrispondono ai tre guna, ovvero le tre qualità della natura, rispettivamente tamas (inerzia), sattva (equilibrio) e rajas [6] (azione). Va detto poi, che la mano destra è collegata all’aspetto attivo, maschile, solare, mentre la sinistra all’aspetto ricettivo, femminile, lunare.

Particolarmente universale è il Chin mudra (il gesto psichico della coscienza), in cui il pollice e l’indice sono a contatto, secondo diverse varianti. Le terminazioni nervose di pollice e indice creano un circuito energetico che dalla mano risale al cervello e da qui riscende, e così via. Si tratta di un preziosissimo circuito di vitalità interiore, la cui percezione si accompagna spesso a sensazioni quali serenità, contenimento, pacatezza, introspezione. In Gyana mudra, il gesto psichico della conoscenza, simile a chin mudra, le mani sono rivolte verso il basso. In entrambe le mudra l’individuo (l’indice) si riconnette alla coscienza universale (il pollice), ritrovando la primaria unione cosmica.

Bhairava Mudra
"Ideale per la meditazione è Bhairava Mudra, in cui la mano destra è poggiata sulla sinistra, con i palmi rivolti verso l’alto, sul grembo"

Ideale per la meditazione è Bhairava Mudra (che in sanscrito significa “atteggiamento terrificante”, probabilmente per la dignità e maestosità che richiama), in cui la mano destra è poggiata sulla sinistra, con i palmi rivolti verso l’alto, sul grembo. Le mani rappresentano le nadi [7] ida e pingala, qui riunite all’Assoluto sotto l’egida di Shiva, signore della dissoluzione dell’universo. Se poggiamo la mano sinistra sopra la destra, facciamo allora riferimento alla controparte femminile di Shiva, Shakti.

Il sottogruppo dei Mana, invece, coinvolge la testa: occhi, naso, labbra, lingua e orecchie. Shambhavi mudra [8] (il cui nome deriva da Shambu, un aspetto di Shiva), ad esempio, ha la finalità di risvegliare la coscienza suprema, stimolando ajna chakra, l’occhio interiore in cui intelletto superiore e intuizione sono un tutt’uno, arrivando così ad una sorta di chiaroveggenza. Esistono poi dei Mana, quali Khechari e Yoni mudra, che raccomandiamo nuovamente di eseguire sotto la guida di un maestro esperto e che inducono uno stato di pratyahara [9] nonché una profonda calma. Se questi e altri mudra aiutano a mitigare l’ansia e i temperamenti accesi, coloro che soffrono di depressione o che sono molto introversi dovrebbero praticare con cautela.

All’interno del sottogruppo dei Kaya –ovvero i mudra posturali – Viparita Karani Mudra è uno dei più praticati. Si tratta di una fase successiva della posizione capovolta dell’aratro. Oltre ai benefici propri di quest’ultima postura (il riequilibro tiroideo; la stimolazione della digestione e il tonificare il sistema cardiocircolatorio), l’energia viene qui convogliata verso il cervello, invertendo il suo flusso abituale, che tende ad andare all’esterno e verso il basso. In Yoga Mudra (il sigillo dello yoga), invece, ci arrendendiamo alla Coscienza onnipervadente. Questo mudra crea un circuito energetico tra muladhara [10] e ajna chakra, rigenerando in profondità il corpo fisico, eterico e mentale. Gli effetti sono ancora più forti se pratichiamo a contatto con la Madre Terra. Shanti mudra, particolarmente potente e suggestivo, è fortemente legato al Sole, astro fonte di vita non solo fisica, ma anche spirituale. Mudra siffatte risvegliano l’energia vitale sopita, ridistribuendola armoniosamente a tutto il corpo, aumentando la salute, la vitalità, la fiducia. La simbologia dell’offerta e insieme della ricezione dell’energia vitale solare sviluppa un atteggiamento equanime e coraggioso[11].

Un centinaio nella danza indiana, i mudra rispecchiano e raccontano in questo caso, certamente, un’affascinante complessità storica e culturale: anzitutto esse strutturano il racconto, attraverso una codificazione simbolica, rappresentando aspetti emozionali e caratteriali dei personaggi e della vicenda illustrati; in secondo luogo, allineano vibrazionalmente il danzatore alla trama. Infine, suscitano una sorta di contatto, di “risposta” subliminale nell’osservatore.

Valido ausilio per affinare e approfondire la dimensione sacrale della pratica, nonché parte integrante della ritualità religiosa e della rappresentazione artistica (dalla danza alle arti figurative), appaiono dunque le mudra. Dato il loro potere di intensificare i processi già in atto, i mudra si rivelano quale agente e insieme specchio di uno stato sottile e insieme profondo, in equilibrio tra percezione, dono e offerta sublime al divino.

Note:

1. In italiano “mudra” può essere considerato un termine sia maschile che femminile. Pertanto utilizzeremo nel presente articolo entrambe le possibilità.

2. Vedi articolo YOGA, un percorso esperienziale di guarigione del corpo, della mente e dello spirito, pubblicato su L’Eterno Ulisse, n. 1, luglio 2012

3. Entrambi riconducibili, non a caso, all’ “ajna chackra”, ovvero il centro energetico situato tra le sopracciglia.

4. Secondo la tradizione e la letteratura sacra indiana, i siddhi sono i poteri psichici cui lo yogi perviene gradualmente attraverso una pratica devota e costante, sebbene, si badi bene, non siano affatto il fine dello yoga o della meditazione. Anzi, se ci si sofferma su di essi, tali poteri possono essere fuorvianti, in quanto si rischia di rafforzare enormente l’ego e quindi deviare dal fine ultimo del percorso iniziatico yogico e meditativo: il trascendere l’ego e il ricongiungimento con l’Assoluto.

5. Percorso spirituale inteso nella sua completezza. Vedi articolo già citato YOGA (Eterno Ulisse, N.1, luglio 2012).

6. I condotti energetici, concetto affine ai meridiani della medicina cinese eseguito con lo sguardo fisso tra le sopracciglia, prima ad occhi aperti e poi chiusi, eventualmente abbinato alla visualizzazione di un punto in corrispondenza del “terzo occhio” e la ripetezione a voce bassa del bija mantra OM.

7. Ritiro dei sensi dagli oggetti esterni, quinto ramo dell’Ashtanga yoga classico Chakra della radice, primo chakra.

8. Acceniamo brevemente, per amor di completezza, ai bandha, anticamente considerati parte dei mudra. L’Hatha Yoga Pradipika, ad esempio, tratta i mudra e i bandha senza alcuna distinzione. Tuttavia, data la loro particolare azione di chiusura, i bandha vengono oggi trattati e insegnanti come gruppo a sé stante. La pratica dei bandha – che in sanscrito significa “tenere”, “stringere” o “chiudere” – ha lo scopo di convogliare il prana in determinate aree del corpo, dirigendone poi il flusso verso l’alto, canalizzandolo verso i chakra superiori, attraverso la nadi sushumma e portando così al risveglio della kundalini. A differenza dei mudra, i bandha sono impiegati esclusivamente nelle pratiche yogiche superiori.

9. Ritiro dei sensi dagli oggetti esterni, quinto ramo dell’Ashtanga yoga classico.

10. Chakra della radice, primo chakra.

11. Acceniamo brevemente, per amor di completezza, ai bandha, anticamente considerati parte dei mudra. L’Hatha Yoga Pradipika, ad esempio, tratta i mudra e i bandha senza alcuna distinzione. Tuttavia, data la loro particolare azione di chiusura, i bandha vengono oggi trattati e insegnanti come gruppo a sé stante. La pratica dei bandha – che in sanscrito significa “tenere”, “stringere” o “chiudere” – ha lo scopo di convogliare il prana in determinate aree del corpo, dirigendone poi il flusso verso l’alto, canalizzandolo verso i chakra superiori, attraverso la nadi sushumma e portando così al risveglio della kundalini. A differenza dei mudra, i bandha sono impiegati esclusivamente nelle pratiche yogiche superiori.

Abitare In Salute
Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter!
Email

abbonati!

Copertina Eterno Ulisse